Analisi del DDL 2688 di Giuseppe Vaciago

"La libertà non si conquista mai una volta per sempre"

DISEGNO DI LEGGE N. 2688

L’analisi articolo per articolo del disegno di legge S. 2688 sulla
“prevenzione della manipolazione dell’informazione online”

Giuseppe Vaciago – Avvocato – R&P Legal

Il DDL “Gambaro” (in realtà i firmatari sono Adele Gambaro, Riccardo Mazzoni, Sergio Divina, Francesco Maria Giro) introduce così il tema delle fake news: “Internet ha sì ampliato i confini della nostra libertà dandoci la possibilità di esprimerci su scala mondiale, ma la libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire fornire una notizia corretta a tutela degli utenti”.

Se è comprensibile questo tipo di approccio nei confronti di chi fa informazione on line e per tale ragione si assume le responsabilità della sua scelta professionale, non è altrettanto evidente quali tipo di parametri debba adottare un hosting service provider, ovvero una piattaforma che ospita contenuti di terzi, per poter definire “fake” una notizia. In alcuni casi è evidente, ma in altri i rischi di fare disinformazione rimuovendo una notizia vera sono molto alti. Anticipando le conclusioni, il vero problema della libertà di espressione in Rete rimane sempre lo stesso: “Quis custodiet ipsos custodes?”.

Partirei da questo presupposto per commentare questo testo di legge che, come accade spesso, ha alcune luci e molte ombre, ma è sicuramente un punto di partenza per aprire un dibattito doveroso e necessario alla luce degli ultimi episodi occorsi a livello nazionale e internazionale.

Ma andiamo con ordine.

Il DDL introduce tre nuovi reati: il primo prevede l’introduzione dell’art. 656-bis c.p. che andrebbe a punire con un’ammenda fino a 5.000 euro colui il quale “pubblica attraverso piattaforme informatiche notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino fatti falsi”. Inoltre, lo stesso articolo prevede che qualora tali notizie costituiscano anche diffamazione si debbano considerare per il risarcimento del danno i parametri fissati dalla legge sulla stampa (art. 12 legge 47/48). Se posso -ammetto con fatica- comprendere la necessità di creare una sorta di diffamazione di “serie B” avente natura contravvenzionale, non mi è chiaro perché nel caso in cui vi sia anche la diffamazione di “serie A” si introduca come parametro per il risarcimento della persona offesa presente il concetto di “diffusione dello stampato” applicando ad Internet una legge promulgata 70 anni fa. Lasciare un parametro così ampio e discrezionale può consentire ai giudici di poter utilizzare il solo fatto che l’articolo sia stato teoricamente fruibile in tutto il mondo per giustificare un’indiscriminata “diffusione dello stampato”. La verità è che Internet non deve essere considerato come l’evoluzione fisiologica della stampa, ma come uno strumento con regole e linguaggi tecnici totalmente diversi da quello cartaceo.

Il secondo e il terzo reato introdurrebbero l’art. 265-bis e 265-ter c.p. L’art. 265-bis punisce con la reclusione non inferiore ad 1 anno e l’ammenda fino a 5.000 euro “chiunque diffonde notizie false che possono destare pubblico allarme o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o fuorviare settori dell’opinione pubblica”. L’art. 265-ter punisce con la reclusione non inferiore a 2 anni e l’ammenda fino a 10.000 euro chiunque “si rende responsabile di campagne d’odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico anche a fini politici”. Questi ultimi due reati sono chiaramente il cuore del disegno di legge. Come da altri è già stato rilevato, i proponenti vorrebbero traslare in tempo di pace una norma pensata per il tempo di guerra (l’art. 265 c.p. infatti è il reato di “disfattismo politico” in tempo di guerra). Detto questo, è indubbio che l’265-ter risponde ad un’esigenza alla quale la legge “Mancino” (legge 205/93) non aveva saputo rispondere estendendo la punibilità a ogni forma di discriminazione senza limitarla a quella legata all’ideologia nazifascista. Si pensi ad esempio alle recenti campagne di odio verso i disabili che indubbiamente meriterebbero una tutela più rafforzata da parte del Legislatore.

Il DDL prosegue con uno degli articoli più criticati: ogni soggetto che decida di aprire un blog o un sito di informazione deve comunicare i suoi dati anagrafici e il suo indirizzo di posta elettronica certificata al Tribunale competente. L’intento è sicuramente nobile, in quanto molto spesso è estremamente difficile ottenere le informazioni del gestore di un sito internet verso cui indirizzare le proprie comunicazioni e/o diffide. Tuttavia, vedo con una certa preoccupazione la concreta applicazione di tale disposizione normativa, considerando la difficoltà per l’autorità di controllare il rispetto di un obbligo tanto massivo e il fatto che chi vuole rimanere anonimo, continuerà a farlo, grazie a strumenti di anonimizzazione (TOR in primis).

L’articolo 4 del DDL prevede un obbligo di rettifica entro 48 ore dalla richiesta che, in caso di inottemperanza, può comportare una sanzione amministrativa da 500 a 2.000 euro. Tale previsione ha ricevuto molte critiche dal mondo della Rete, ma mi permetto di uscire sommessamente da tale “coro”: mi sembra corretto che chi decide di fare informazione si assuma anche l’onere di dare il diritto di replica a chi si sente, magari anche legittimamente, diffamato. Meno convincente e, forse superfluo, è il successivo articolo 5 che cerca di cristallizzare in modo un po’ confuso il diritto all’oblio, concedendo all’interessato di ricorrere ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. 70/03 al fine di ottenere dai motori di ricerca la cancellazione dell’informazione, ove il sito decida di non ottemperare alla richiesta. Forse l’unico elemento di rilievo è la formalizzazione della trasmissibilità delle facoltà di richiedere la rimozione all’erede o al convivente in caso di morte dell’interessato.

L’articolo 6 tocca un tema centrale come quello della sensibilizzazione sull’uso critico dei media on line attraverso la formazione nelle scuole. È, infatti, fondamentale partire dalla scuola primaria se si vuole che le nuove generazione facciano un uso della Rete consapevole ed etico. Lascia, come sempre, perplessi che tale attività di sensibilizzazione debba essere fatta “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

L’articolo 7 prevede che “i gestori delle piattaforme informatiche siano tenuti ad effettuare un costante monitoraggio dei contenuti diffusi attraverso le stesse, con particolare riguardo ai contenuti verso i quali gli utenti manifestano un’attenzione diffusa ed improvvisa, per valutarne l’attendibilità e la veridicità”. Nel caso in cui non rimuovano tali contenuti sono soggetti alla sanzione di cui all’art. 656-bis del codice penale. Questo articolo, come si era detto all’inizio, non risolve il problema di quali siano i parametri per poter valutare o meno illecita una notizia e non considera il principio dell’assenza generale dell’obbligo di sorveglianza per gli hosting provider oramai consolidato dal 2003 con l’entrata in vigore del D.lgs. 70/03 in tema di commercio elettronico.

Forse, a tendere, il “Custodes” potrebbe venire individuato nella commissione di vigilanza RAI che in questo DDL ha il compito di monitorare “gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici degli emittenti radiotelevisivi pubbliche, verificando la corrispondenza tra i livelli qualitativi offline e quelli online con particolare attenzione ai contenuti generati dagli utenti e adottando le deliberazioni necessarie all’osservanza di tale indirizzo”.

Speriamo proprio di no, ma sicuramente il livello qualitativo dell’informazione in Rete rappresenta il nostro futuro e non possiamo sottovalutare il dibattito in corso.