da La Repubblica del 2 luglio 2017
di Guido Scorza
Ieri la Germania ha approvato una norma che dà 24 ore di tempo ai social network per rimuovere qualsiasi contenuto “manifestamente illecito”, e sette giorni per quelli che lo sono ma non in maniera manifesta. Altrimenti sanzioni da 50 mila a 50 milioni di euro. Ma questo è un concetto che si evolve, e pure molto velocemente.
VENTIQUATTRO ore per rimuovere qualsiasi contenuto “manifestamente illecito”, sette giorni per per rimuovere i contenuti la cui illiceità non è manifesta. E in caso di inadempimento sanzioni da 50 mila a 50 milioni di euro. E’ questa la ricetta tedesca, diventata legge ieri, per costringere i social network e, più in generale, i gestori delle piattaforme che consentono la pubblicazione di contenuti prodotti dagli utenti a contribuire più attivamente rispetto a quanto accaduto sin qui nella lotta ai contenuti illeciti online.
Ma che significa “manifestamente illecito” quando si tratta di idee, opinioni, immagini o video pubblicate dall’utente di un social network? Certo, in talune ipotesi limite, rispondere può essere facile o, almeno, meno difficile ma nella più parte dei casi è un esercizio straordinariamente difficile per il più dotto e raffinato dei giuristi, figurarsi per un moderatore in batteria di quelli schierati dai gestori delle grandi piattaforme online nel tentativo di limitare la circolazione di taluni contenuti online.
Il confine tra l’esercizio della libertà di parola nella più grande piazza pubblica della storia dell’umanità e l’abuso di tale libertà è labile, sottile, sfuggente, magmatico e in continuo divenire a un ritmo direttamente proporzionale a quello con il quale si trasformano la cultura, lo stile di vita, il modo di parlare o la il limite di tolleranza nei rapporti all’interno di qualsivoglia comunità da quella famigliare a quella globale. Immagini e parole che oggi affollano la nostra prima serata televisiva, solo una manciata di anni fa sarebbero state ritenute illecite, offensive, ingiuriose o diffamanti persino se mostrate o pronunciate in un circolo ristretto e protetto da solide mura.
I tempi si evolvono e i costumi cambiano e, peraltro, tutto questo non avviene contemporaneamente in ogni angolo del mondo e neppure di un singolo Paese. Il rischio di considerare lecito ciò che meriterebbe di essere ritenuto illecito e quello ancora più elevato di ritenere illecito ciò che meriterebbe di essere considerato lecito è sempre in agguato e quando si stabilisce – come ha appena fatto il Parlamento tedesco – che a valutare se un contenuto meriti di restare online o, al contrario di essere rimosso debba essere una società privata anziché un tribunale il rischio inesorabilmente aumenta sino a diventare democraticamente insostenibile. Facebook e con Facebook ogni altro gestore di piattaforme online non sono tribunali, nei loro dipartimenti che si occupano di moderazione non siedono giudici che rispondono solo alla legge ma dipendenti e dirigenti che, in ultima analisi, rispondono agli azionisti e al mercato.
E le regole del mercato non sempre – anzi quasi mai – sono democratiche o, comunque, lo sono decisamente meno delle leggi di uno Stato che, ormai, salvo – per fortuna – poche eccezioni si ispirano a Carte costituzionali e convenzioni internazionali nelle quali è scolpito a chiare lettere un principio secondo il quale la libertà di parola di ogni uomo e di ogni cittadino è un diritto fondamentale.
Ma non basta. La legge tedesca, infatti, non solo confonde una corporation con un tribunale e le regole del mercato con quelle della Costituzione ma introduce una perversa e pericolosa variabile nel giudizio affidato ai gestori delle grandi piattaforme online: multe multimilionarie se considerano lecito un contenuto che avrebbe dovuto essere ritenuto illecito e omettono di rimuoverlo in una manciata di ore ma nessuna conseguenza, di nessun tipo se, al contrario, considerano illecito e rimuovono un contenuto che viene poi accertato essere lecito e, dunque, mettono un cerotto sulla bocca ad un uomo che aveva semplicemente scelto Internet per manifestare liberamente la propria opinione.
Ve lo immaginate un arbitro di una partita di pallone che rischiasse di perdere metà dello stipendio se non fischiasse un rigore che poi la moviola accertasse dover essere fischiato mentre non rischiasse alcunché laddove fischi un rigore che poi la moviola accertasse inesistente? Secondo voi quell’arbitro sarebbe sereno nel suo giudizio e indifferente nella scelta tra fischiare un calcio di rigore in ogni caso dubbio?
Quella tedesca è una legge sbagliata, è una legge muscolare con la quale, con straordinaria miopia politica e giuridica, si immolano principi e diritti fondamentali di uomini e cittadini – oggi utenti del web – sull’altare di una guerra santa che non ha ragione di essere e che, peraltro, con questi strumenti non si può vincere.
Esistono oggi – e naturalmente non sarà sfuggito al Parlamento tedesco – software che consentono con straordinaria semplicità e in maniera completamente automatizzata di ripubblicare online un contenuto ogni ora, minuto o secondo con l’ovvia conseguenza che se anche Facebook e soci adempissero, a tempo di record, ai nuovi obblighi loro imposti dal Parlamento tedesco, la quantità di contenuti illeciti presente online potrebbe non diminuire neppure di un bit. Svuotare Internet dai contenuti illeciti senza compromettere, in maniera importante, la libertà di manifestazione del pensiero è velleitario tanto quanto pensare di svuotare il mare con un secchiello.
Non c’è esercito di moderatori e non c’è sanzione multimilionaria rivolta ai gestori di questa o quella piattaforma capace di ribaltare tale conclusione. Online come offline i contenuti illeciti si accompagnano a quelli leciti, la buona informazione a quella cattiva, i reati di opinione alla libertà di parola. Non esistono scorciatoie o filtri magici per fermare il male lasciando correre il bene. Si può – e, anzi, si deve – rendere sempre più efficiente e veloce – nel rispetto del diritto alla difesa – la giustizia dei Giudici e, in taluni limitati casi, quella delle autorità indipendenti ma guai a derogarvi specie quando in gioco c’è la libertà di parola.