“Bufale”, un problema vecchio di 400 anni

"La libertà non si conquista mai una volta per sempre"

da The Guardian del 29 novembre 2015

di Luciano Floridi

L’età di internet ci ha fatto grosse promesse: un nuovo periodo di speranza e opportunità, connessione ed empatia, espressione e democrazia.

Eppure il mezzo digitale ha agito negativamente perché gli abbiamo permesso di crescere caoticamente e senza cura, abbassando la nostra guardia contro il deterioramento e l’inquinamento della nostra “infosfera”.

Abbiamo cercato solo ciò che volevamo – intrattenimento, merci più a buon mercato, informazione gratuita e gossip – e non la comprensione più profonda, il dialogo o la formazione che ci sarebbero stati molto più utili.

La fame di populismo non è un problema nuovo. Nelle feroci battaglie fra giornali della New York del 1890, lo stile sensazionalistico emergente del New York World di Joseph Pulitzer e del New York journal di William Hearst fu soprannominato “giornalismo giallo” da chi era preoccupato di mantenimento degli standard, adesione all’accuratezza e un dibattito pubblico informato. Noi oggi abbiamo lo stesso problema con la disinformazione on line.

Gli esseri umani sono sempre stati prevenuti ed intolleranti di punti di vista diversi dai propri.

Il capolavoro filosofico Novum Organum di Francis Bacon, pubblicato nel 1620, analizza quattro tipi di idoli o false nozioni che “dominano oggi la capacità di comprensione degli uomini e si sono fortemente radicate all’interno di essa”.

Uno di essi, l’ “idolo della caverna”, si riferisce ai nostri stimoli concettuali ed alla nostra suscettibilità rispetto alle influenze esterne. ” Ognuno…ha una sua caverna o un suo rifugio, che rifrange e scolora la luce della natura, in relazione o alla sua propria e specifica natura, o alla propria formazione e conversazione con gli altri, o alla lettura di libri, e alla autorità di coloro che stima e ammira, o alle differenze delle impressioni, a seconda che abbiano luogo in una mente preoccupata e predisposta o in una mente indifferente e stabile, o simili “.

E’ un problema vecchio di 400 anni.

Parimenti, la fame di vuoto pettegolezzo, bugie piacevoli e falsità rassicuranti è sempre stata significativa. La differenza è che internet consente a questa fame di essere nutrita con una fonte inesauribile di cibo spazzatura, trasformando le caverne di Bacon in camere di risonanza.

Questo tipo di problemi etici digitali rappresenta la sfida caratterizzante del 21^ secolo.

Includono violazioni della privacy, della sicurezza, della proprietà e dei diritti di proprietà intellettuale della fiducia, dei diritti fondamentali dell’uomo, come la possibilità di discriminazione, ineguaglianza, manipolazione, propaganda, populismo, razzismo, violenza e violenza verbale.

Come potremmo cominciare a pesare i costi umani di questi problemi?

Considerate le responsabilità politiche dei siti web dei giornali nel distorcere le discussioni sulla decisione di Brexit, o le false notizie disseminate dalla “alt-right” (destra alternativa), un’accozzaglia di persone con visioni di estrema destra, durante la campagna di Trump.

Finora la strategia per le tech-companies è stata di affrontare l’impatto etico dei loro prodotti in modo retroattivo. Alcune stanno finalmente intraprendendo azioni più incisive contro la disinformazione on line: Facebook, per esempio, sta lavorando attualmente su metodi di più robusta identificazione e verifica di fake news, e sul modo di fornire etichette di warning su contenuti falsi.

Ma questo non basta. La mancanza di una visione etica proattiva impantana il processo decisionale, mina le pratiche gestionali e danneggia le strategie per l’innovazione digitale.

In sintesi è molto costoso.

La quasi istantanea diffusione dell’informazione digitale significa che alcuni costi della disinformazione possono essere difficili da far rientrare, specie quando fiducia e affidabilità sono minate

La tech-industry può e deve fare meglio per assicurare che internet utilizzi il proprio potenziale a supporto del benessere degli individui e del bene sociale.

Abbiamo bisogno di una infosfera etica per salvare il mondo e noi personalmente da noi stessi, ma ricostruire questa infosfera richiede un gigantesco sforzo ecologico.

Dobbiamo ricostruire la fiducia attraverso credibilità, trasparenza e responsabilità ben identificata ed un alto grado di pazienza, coordinamento e determinazione.

(Omissis)…Tutte queste iniziative mostrano crescente interesse in come le piattaforme on line possano essere rese più responsabili per i contenuti che forniscono, non dissimilmente dai giornali.

Dobbiamo dare forma e guidare il futuro del digitale e smettere di fare semplici aggiustamenti man mano che andiamo avanti.

E’ tempo di lavorare ad una impostazione innovativa per un miglior tipo di infosfera.